Riceviamo e pubblichiamo
Il rapporto ottimale della continuità assistenziale è regolato dall’art. 64 dell’Accordo Collettivo Nazionale per la Disciplina dei Rapporti con i Medici di Medicina Generale ai sensi dell’art. 8 del D. Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni.
ART. 64 – RAPPORTO OTTIMALE.
1. Al fine di consentire una programmazione corretta ed efficiente del servizio di continuità assistenziale nelle singole Aziende, le Regioni definiscono, anche sulla base delle proprie caratteristiche orogeografiche, abitative e organizzative, il fabbisogno dei medici di continuità assistenziale di ciascuna singola ASL, che è determinato secondo un rapporto ottimale medici in servizio/abitanti residenti.
2. Ai fini di quanto previsto al precedente comma 1, il numero dei medici inseribili nei servizi di continuità assistenziale di ciascuna ASL è definito dal rapporto di riferimento 1 medico ogni 5000 abitanti residenti.
3. Le Regioni possono indicare, per ambiti di assistenza definiti, un diverso rapporto medico/popolazione. La variabilità di tale rapporto, in aumento o in diminuzione, deve essere concordata nell’ambito degli Accordi regionali e comunque tale variabilità non può essere maggiore del 30% rispetto a quanto previsto al comma 2.
4. Le Aziende che dispongano di medici in servizio nella continuità assistenziale in esubero rispetto al rapporto ottimale come definito al comma 2, (tenuto conto delle variazioni di cui al comma 3), non possono attribuire ulteriori incarichi fino al riequilibrio di tale rapporto.
5. Nell’ambito degli Accordi aziendali sono definiti i criteri di mobilità intraaziendale.
Il titolo dell’art. 64, Rapporto Ottimale, viene chiarito nel suo significato dal comma 1 del medesimo articolo: si tratta del rapporto medici in servizio/abitanti residenti, ed è il rapporto sulla base del quale le Regioni definiscono il fabbisogno dei medici di continuità assistenziale di ciascuna singola ASL. Il comma 2 specifica che, ai fini di quanto previsto al precedente comma 1, il numero dei medici inseribili nei servizi di continuità assistenziale di ciascuna ASL è definito dal rapporto di riferimento 1 medico ogni 5000 abitanti residenti.
Ora, appare inequivocabile che, per rapporto di riferimento 1 medico ogni 5.000 abitanti residenti del comma 2, debba intendersi il rapporto ottimale medici in servizio/abitanti residenti del comma 1, e che dal rapporto di 1 medico in servizio ogni 5.000 abitanti residenti, oltre che dalle caratteristiche organizzative intrinseche del servizio di continuità assistenziale, debba discendere il fabbisogno di medici di continuità assistenziale delle Regioni.
Considerato:
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che il rapporto ottimale disciplinato dall’art. 64 dell’ACN della Medicina Generale prevede 1 medico in servizio ogni 5.000 abitanti,
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che il medico di continuità assistenziale può essere incaricato per un massimo di 24 ore alla settimana,
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che, escludendo le festività, la continuità assistenziale prevede la copertura di 108 ore alla settimana, 7 turni notturni dalle 20.00 alle 8.00, più due turni diurni (sabato e domenica) dalle 8.00 alle 20.00,
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che ciascun turno di continuità assistenziale ha una durata di 12 ore, e, per tale ragione, il singolo medico incaricato del servizio può effettuare soltanto 2 dei 9 turni previsti nell’arco della settimana, se ne deduce che le Regioni devono inserire nella continuità assistenziale 4 medici ogni 5.000 abitanti residenti, potendo le Regioni medesime, anche sulla base delle proprie caratteristiche orogeografiche, variare del 30% in più o in meno il denominatore del rapporto ottimale (numero degli abitanti residenti) e, dunque, variare anche il numero di medici inseribili nel servizio (per rapporti ottimali di 1 medico/3.500 aumento del 30% dei medici inseribili nel servizio, e speculare diminuzione del 30% per rapporti 1 medico/6.500).
Il disposto normativo appare chiaro, e chiaro appare il fatto che debba essere interpretato nel senso sopra descritto. Le Regioni, invece, hanno spesso avallato l’interpretazione secondo cui la norma indicherebbe che deve essere inserito nel servizio di continuità assistenziale 1 medico ogni 5.000 abitanti residenti.
Ma non vi è dubbio sul fatto che il Rapporto Ottimale dell’art. 64 sia il rapporto medici in servizio/abitanti residenti specificato dal comma 1, e che il rapporto di riferimento del comma 2, e il rapporto medico/popolazione del comma 3, altro non siano che richiami al rapporto ottimale del comma 1. Non avrebbe avuto senso, altrimenti, il testo dell’articolo 64 al comma 1, e si sarebbe potuto scrivere, molto più semplicemente, che le ASL inseriscono nel servizio di continuità assistenziale 1 medico ogni 5.000 abitanti residenti, e con detti medici organizzano il servizio di continuità assistenziale nel territorio di competenza.
L’illogicità dell’interpretazione 1 medico inseribile nei servizi di continuità assistenziale ogni 5.000 abitanti residenti si evince anche dalle conseguenze cui conduce.
Consideriamo un’ASL di 100.000 abitanti residenti. Con la prima interpretazione, quella cioè di 4 medici inseribili nel servizio di continuità assistenziale ogni 5.000 abitanti, il fabbisogno è di 80 medici; ¼ di questi, cioè 20 medici, risultano al lavoro in ogni dato momento in cui è attivo il servizio di continuità assistenziale, e il rapporto medici in servizio/abitanti residenti è 20:100.000, cioè 1 a 5.000.Con la seconda interpretazione il fabbisogno di medici per la continuità assistenziale scende a 20 (100.000 : 5.000 = 20); di questi, stante l’incarico di 24 h settimanali di ciascuno, e il monte di 108 ore settimanale da coprire, soltanto 5 medici si trovano al lavoro in uno qualunque dei momenti coperti dal servizio di continuità assistenziale, e il rapporto medici in servizio/abitanti residenti è 5:100.000, cioè 1 a 20.000.
Ora, non si vede proprio come la programmazione corretta ed efficiente della continuità assistenziale di cui parla l’art. 64, comma 1, dell’ACN delle medicina generale, possa essere consentita da 1 medico in servizio per 20.000 abitanti, 20.000 abitanti per i quali, nei giorni feriali dalle 8.00 alle 20.00, vale a dire nella fascia oraria di pertinenza della assistenza primaria, operano in contemporanea 13 medici con il massimo delle scelte. Una proporzione, quella di 1:20.000, che peraltro potrebbe salire a 1 medico in servizio ogni 26.000 abitanti (vale a dire 1 solo medico a garantire la continuità assistenziale per i pazienti di 17 medici di assistenza primaria massimalisti), nel caso in cui, come previsto e, dunque, possibile, le Regioni incrementino del 30% il denominatore del rapporto ottimale, ovvero il numero di abitanti residenti.
A conferma dell’erroneità della seconda interpretazione del comma 2 dell’art.64, sentenze di TAR e del Consiglio di Stato hanno già definito abnorme e paradossale il rapporto medico in servizio/abitanti che ne discende. Un rapporto che, oltre ad essere ingiustamente penalizzante per gli assistiti, lo è anche per i medici, i quali si trovano a dover garantire l’assistenza a un numero di pazienti spesso multiplo rispetto a quello previsto dal contratto che hanno sottoscritto.
Giuseppe Todisco
Dottore in Giurisprudenza
3283487933